Scienza: SNA & Dalton, induzioni del colore sul SNA

(di Giulio Bertagna)

A proposito delle induzioni del colore sul Sistema Nervoso Autonomo ho già avuto occasioni di scrivere sui miei libri e di parlarne diffusamente nelle mie lezioni al Politecnico di Milano e in molte conferenze sul colore.

In sintesi i colori intorno a blu, ovvero di alta frequenza o di corta lunghezza d’onda che dir si voglia, attivano maggiormente il SNA parasimpatico, predisponendo dunque l’individuo all’espletamento delle necessità fisiologiche, all’introspezione. L’induzione è di tipo neurofisiologico e, a livello sperimentale, è facilmente riscontrabile tramite la diminuzione della frequenza cardiaca.

I colori intorno a rosso (colori di bassa frequenza o di lunga lunghezza d’onda), al contrario, attivano maggiormente il SNA simpatico, predisponendo l’individuo a una situazione di attacco-difesa. Questo presuppone l’avvio di un blocco delle richieste di soddisfacimento fisiologico per fornire al fisico tutta l’energia disponibile. Le aree cerebrali coinvolte normalmente nella gestione dei comportamenti sociali omologati, cede la priorità a quelle più antiche e istintive, sicuramente elementari da un punto di vista sociale, ma assolutamente veloci per assicurarci la sopravvivenza. Anche qui l’induzione è di tipo neurofisiologico e, a livello sperimentale, è facilmente riscontrabile tramite l’aumento della frequenza cardiaca, questa volta per l’aumento dello stimolo delle ghiandole surrenali con un aumento dell’adrenalina nel circolo ematico.

La sperimentazione alla quale ho accennato qui sopra consiste nella semplice somministrazione visiva di blu e di rosso al soggetto testato. Gli scostamenti della frequenza cardiaca rispetto alla basale rilevata prima del test, risulta più che sufficientemente evidente a confermare quanto sopra scritto. Le fortunate e necessarie complessità del cervello umano fanno sì che tali induzioni sperimentali, provochino solamente una predisposizione fisiologica e psicologica e nulla di più. Nessun blu sarà dunque in grado di mandare in estasi meditativa una persona, come nessun rosso potrà mai scatenare reazioni aggressive o mettere in fuga alcuno.

Difficile fare delle ipotesi sul perché questi due colori, polari per frequenza o lunghezza d’onda ed entrambe ai limiti del visibile, abbiano sulla psicofisiologia umana gli stessi effetti che si attivano, anche senza la loro presenza, nelle diverse situazioni in cui si viene a trovare un essere umano. Un certo mondo un po’ obsoleto della psicologia dei colori (nata in mancanza delle non ancora nate neuroscienze) evocava l’eccitazione provocata dal fuoco e dal sangue per spiegare i perché del rosso usato come colore della lotta, del sesso, del pericolo, ma si arenava nel cercare le ragioni del blu e la rassicurante nobiltà del sangue blu era solo una conseguenza, non certo l’induttore.

La ragione la si potrebbe cercare nei segnali della natura, giacché l’essere umano ai primordi, ha dovuto attivare una notevole, lunga e complessa adattività all’ambiente terrestre per sopravvivervi.

Innanzi tutto è bene considerare la scarsa presenza di blu e di rosso intrinseci negli “oggetti” della natura. Qualche fiore in entrambe i casi, qualche piumaggio. Il cielo, il mare, come colore non hanno che l’acromaticità assoluta. Dunque il rosso era ben visibile come colore intrinseco delle fauci, delle parti intime, del sangue. Soprattutto in presenza visiva di quest’ultimo, la situazione emozionale e fisiologica dell’individuo non sarà certo stata di tranquillità e di introspezione. Un segnale biologico dunque di attenzione. Il blu era ed è ancora il colore dell’imbrunire prima del totale buio notturno. Un segnale che induce ancora oggi l’essere umano a far mente locale a dove trascorrerà la notte, a dove potrà riposare al sicuro. Nessun uomo primordiale, riparlando dei nostri avi, si sarebbe rifugiato presso popolazioni ostili. L’urgenza del trovare un ricovero sicuro indotto dal blu della notte imminente l’avrà certamente portato presso gente amica, presso il suo gruppo familiare dove avrebbe potuto trovare cibo e godere di una certa sicurezza. Il blu soddisfatto e comunque avvolgente e occultante anche per chi avesse trovato un nascondiglio improvvisato, lasciava la tranquillità di pensare al da farsi prima del levare del sole, lasciava spazio ai progetti, al sogno, al godimento di qualche piccolo piacere.

Ma i daltonici, si dice, non vedono i colori come noi tricromati normali.

Dato scientificamente per certo che il mondo intorno a noi è acromatico, ovvero in bianco e nero, risulta chiara la differenza tra un tricromate normale e un daltonico (tricromate anomalo o dicromate). La differenza sta nell’interpretazione delle lunghezze d’onda della luce emessa dagli oggetti illuminati, che per i tricromati normali, essendo la maggior parte della popolazione mondiale, ha dato luogo alla “normalità” della visione cromatica, mettendo i daltonici, che dispongono di uno spazio-colore ridotto, in quella che definirei “emarginazione cromatica”.

Conclusione

Il rosso vivo che è in grado di elevare la frequenza cardiaca di un tricromate normale nel giro di 10-20 secondi, viene visto da un daltonico approssimativamente come un colore intorno a giallo.

Sarà questo rosso in grado di provocare le stesse induzioni sul SNA anche su di un daltonico? Lo sarà, ma in misura ridotta? Non mi risulta che siano state fatte sperimentazioni in tal senso o quanto meno abbastanza rilevanti da emergere a seguito di una ricerca.

Il blu, salvo che per i tritanomali o tritanopi, viene visto correttamente sia dai protanomali, protanopi, deuteranomali e deuteranopi. Dunque qualcosa si dovrebbe attivare per il blu, ma, in teoria, non per il rosso. Credo che questo non sarebbe “biologico”. Il fatto che prima della società industriale i daltonici siano vissuti senza grandi problemi e senza sapere di esserlo e che il daltonismo sia emerso grazie proprio a John Dalton nel 1798 suggerirebbe di non accettare il fatto che i daltonici subissero le induzioni dei colori sul SNA in modo anomalo.

L’induzione non è di carattere meramente psicologico, ma è neurofisiologico e poi, di conseguenza, psicologico. Il ché lascerebbe pensare che le differenze di lunghezza d’onda possano essere discriminate comunque, bypassando le vie visive, dunque anche le limitazioni di visione cromatica. Questo, ovviamente, per garantire solo determinate funzioni vitali.

Un’area di ricerca che ritengo importante e che potrebbe aprire a nuovi scenari proprio grazie al mondo daltonico.

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